Notule
(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE
E NOTIZIE - Anno XXI – 20 aprile 2024.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del
testo: BREVI INFORMAZIONI]
Malattia di Alzheimer: TREM1 ha un ruolo
nelle forme dell’età più avanzata. Studi di genetica
nell’uomo hanno evidenziato risposte mieloidi deficitarie nello sviluppo della
malattia di Alzheimer a esordio tardivo. Un declino del metabolismo mieloide
periferico e cerebrale, che innesca riposte immuni maladattative, è
caratteristico dell’invecchiamento. Il ruolo che può avere il fattore
pro-infiammatorio TREM1, studiato ma non ancora definito in rapporto alle
malattie neurodegenerative, è stato indagato da Edward N. Wilson e colleghi. Lo
studio, ben condotto e articolato in differenti tipologie di verifiche
sperimentali, ha dimostrato che TREM1 promuove il declino cognitivo nell’invecchiamento
e nel contesto della patologia amiloide. [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi:
10.1038/s41593-024-01610-w, 2024].
Malattia di Alzheimer: ruolo della
microglia esprimente TREM2. La microglia, e specificamente
quella esprimente il gene di rischio per l’Alzheimer TREM2, è considerata un
importante elemento della patologia neurodegenerativa, ma il suo esatto
contributo non è stato, finora, accertato. Noa Rachmian e colleghi hanno
identificato una microglia senescente che esprime alti livelli di TREM2, ma che
mostra anche un contrassegno diverso da quello della microglia associata a
malattia TREM2-dipendente (DAM). Questo segno distintivo proteinico della
microglia senescente è stato trovato in vari modelli murini che presentano
declino cognitivo, inclusi quelli dell’amiloidosi, delle taupatie e del semplice
invecchiamento. L’insieme dei risultati suggerisce una doppia e opposta
partecipazione di TREM2 agli stati della microglia; una nozione da tenere in
considerazione da parte di coloro che studiano TREM2 come obiettivo terapeutico
nella malattia di Alzheimer. [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi:
10.1038/s41593-024-01620-8, April 18, 2024].
Il BDNF in sede presinaptica: prime
evidenze di meccanismi molecolari. Il BDNF (fattore
neurotrofico derivato dal cervello), seconda neurotrofina scoperta dopo il
fattore NGF individuato da Rita Levi-Montalcini, ha un ruolo critico nel
modulare la fisiologia sinaptica e contribuisce alla fisiopatologia di vari disturbi
psichiatrici, ma i meccanismi della sua funzione presso i terminali
presinaptici non sono stati ancora elucidati, anche se una loro dissezione
analitica potrebbe fornire elementi cruciali per nuovi e più efficaci
trattamenti. Camille S. Wang e colleghi hanno rilevato che la segnalazione
BDNF-TrkB modula la neurotrasmissione evocata attraverso cambiamenti nel flusso
in entrata del Ca2+ presinaptico, senza interessare la
neurotrasmissione spontanea. I ricercatori hanno poi accertato che il rinforzo
indotto da BDNF è sensibile solo al blocco cronico della segnalazione di TrkB,
suggerendo che possano esistere azioni differenti della segnalazione TrkB sui
meccanismi molecolari sottostanti il rilascio di neurotrasmettitore. [Cfr. PNAS
USA – AOP doi: 10.1073/pnas.2303664121, 2024].
Problemi di bambini XY-DSD allevati ed
educati come bambine negli ultimi 30 anni. Negli ultimi
30 anni, nel Dipartimento di Urologia Pediatrica dell’Università di Gerusalemme,
venticinque persone con cariotipo maschile (46 XY), ma con disturbi dello
sviluppo sessuale (DSD) che impedivano una fisiologica differenziazione dei
caratteri sessuali maschili, sono state considerate femmine dai genitori e, in
due casi, anche da un team di chirurgia pediatrica: oggi sono state studiate
per conoscere il loro stato di soddisfazione esistenziale, il loro equilibrio
psicoadattativo in rapporto all’identità e la loro opinione sulla decisione di
attribuzione sessuale presa quando loro non erano in grado di decidere.
Un solo partecipante allo studio ha
accettato di rispondere a un questionario sui rapporti sessuali; gli altri 24
pazienti si sono rifiutati. Nove hanno accettato un questionario sulla
soddisfazione circa l’essere state assegnate al sesso femminile. Solo due di
loro, dopo aver appreso in adolescenza di avere un cariotipo maschile, hanno
scelto di continuare a considerarsi donne. Due, invece, si sono dichiarate
pentite di aver accettato l’appartenenza al sesso femminile. Tra coloro che
hanno dichiarato soddisfazione sulla scelta di genere, due hanno bisogno di un
supporto psicoterapico quotidiano. Questi risultati, a nostro avviso,
evidenziano la fallacia dell’applicazione rigida del criterio di assegnare al
sesso femminile tutti i bambini XY-DSD basandosi sulla prevalenza fenotipica.
La nostra società scientifica sostiene
questa linea di condotta: in quanto è decisivo il modo in cui si sente la
persona e, dunque, l’appartenenza sessuale riconosciuta dal cervello di
ciascuno, si dovrebbe accompagnare lo sviluppo con l’informazione sulla realtà
biologica e con il sostegno empatico da parte dei membri della famiglia. Qualora
la persona, crescendo, senta il bisogno di un aiuto psicologico, sarà opportuno
indirizzarla verso una figura professionale con una solida preparazione biomedica
e medico-psichiatrica sull’argomento, e con esperienza nel trattamento del
disagio psichico dovuto a problemi connessi con l’identità sessuale. La
capacità personale dello psicoterapeuta nel non far sentire la persona un “caso
clinico” e nell’offrirle sostegno e simpatia, indipendentemente dalle sue
scelte e dalle sue idee, è di fondamentale importanza per stabilire un rapporto
efficace. [Journal of Pediatric Urology – AOP doi: 10.1016/j.jpurol.2024.03.033,
2024].
Con un metodo di
apprendimento ricostituito un equilibrio naturale rotto da un rospo.
Un rospo terrestre, a dispetto del suo nome scientifico (Rhinella marina),
comunissimo in America Centrale, Meridionale e Australia del Nord, detto in
inglese cane toads perché impiegato contro i cane beetle (scarabeo
parassita della canna da zucchero), è noto per le sue ghiandole secretrici di
veleno quale protezione naturale dai predatori e le sue larve altamente
tossiche, da alcuni anni è diventato un vero flagello, responsabile della morte
di animali di tante specie e, particolarmente, di cani. Soprattutto, si è
verificato che il predatore apicale, ossia il goanna, rimanendo decimato
per la morte di un grande numero di esemplari, ha consentito una spropositata
proliferazione dei rospi, con un grande squilibrio della catena alimentare e
della rete biologica ambientale. Un goanna (nome derivato da iguana)
è una specie di lucertola del genere Varano, il cui membro più noto è il gigantesco
Drago di Komodo, il cui maschio può raggiungere i 91 kg di peso e i 2,6 m di lunghezza.
Ricercatori della Macquarie University
hanno ideato un efficace sistema per arrestare la falcidia di animali
avvelenati e ristabilire l’equilibrio ecobiologico. L’idea è venuta loro da una
scoperta fatta in precedenza (2016), ossia che esemplari di goanna che avessero
mangiato piccoli rospi si ammalavano e poi guarivano, senza morire come
accadeva mangiando gli adulti. Così hanno concepito una forma di apprendimento
che ha realizzato una sorta di “immunizzazione ecologica”. I predatori apicali
hanno appreso, attraverso associazione condizionata del gusto, ad
evitare il sapore connesso al veleno dei rospi adulti e, in tal modo, la
popolazione delle grandi lucertole carnivore ha cominciato a ricostituirsi, favorendo
il ristabilirsi degli equilibri ecologici locali. [Cfr. Conversation Letters
– AOP doi: 10.1111/conl.13012, 2024].
Lo scimpanzé pigmeo o bonobo non è un
hippie come riteneva Frans de Waal. I giovani del movimento
giovanile controculturale americano nato negli anni Sessanta e detti “figli dei
fiori”, “hippy” o “hippie”, avevano uno slogan che li ha caratterizzati nei
decenni successivi: fate l’amore non fate la guerra. Rifacendosi a
questo stereotipo, il primatologo Frans de Waal[1],
reso popolare in Italia da Isabella Rossellini e scomparso lo scorso 14 marzo
2024, aveva etichettato come hippy lo scimpanzé pigmeo o bonobo (Pan
paniscus), il parente più stretto dello scimpanzé (Pan troglodytes),
perché privo di comportamenti aggressivi e propenso a un’attività sessuale
intensa e protratta. Mentre gli scimpanzé arrivano a uccidersi l’uno con l’altro,
nessuno aveva mai visto un bonobo aggredire, colpire o mordere membri della
propria specie.
Lo scorso 12 aprile questa fama dello
scimpanzé pigmeo è venuta a cadere presso la comunità scientifica, per la
pubblicazione su Current Biology di uno studio di osservazione di Maud Mouginot
e colleghi, condotto quotidianamente dal buio precedente l’alba a quello della
notte nella Kolopori Bonobo Reserve della Repubblica Democratica del Congo.
Il primo episodio registrato dalla
studiosa di antropologia biologica in veste di etologa si è verificato alle 5
del mattino: due maschi sfrecciavano al buio tra gli alberi, l’uno in fuga dall’altro
che lo inseguiva, e poco dopo si sono udite le urla terrificanti del fuggitivo.
I ricercatori hanno poi documentato vari episodi di violenza: maschi che spingono,
colpiscono o mordono altri maschi. Anche la dicotomia del maschio di scimpanzé
comune che può essere violento con la femmina mentre quello di bonobo non lo è
mai, è stata smentita: anche se raramente, i maschi di scimpanzé pigmeo possono
colpire le femmine, e queste ultime possono preferire un maschio violento a uno
pacifico. Alcuni primatologi della Duke University, che non hanno partecipato
allo studio, propongono una spiegazione sia per quanto finora ritenuto, sia per
le nuove osservazioni che smentiscono lo stereotipo del “primate hippie”. L’organizzazione
sociale dei bonobo o Pan paniscus è matriarcale, mentre quella dei Pan
troglodytes è patriarcale: la prevalenza del sesso femminile riduce l’importanza
della competizione fra maschi, riducendo le occasioni di scontro e violenza
che, tuttavia, non sono del tutto eliminate. [Cfr. Current Biology – AOP doi:
10.1016/j.cub.2024.02.071, April 12, 2024].
Un antidoto contro l’adesione passiva alle
forme del comportamento che hanno sostituito la sostanza delle idee.
Senza la riflessione su senso e valore dell’esistenza, senza la coscienza
individuale e collettiva delle radici antropologiche della cultura e degli
orizzonti della conoscenza in rapporto all’etica, senza il piacere del
riflettere e l’intelligenza dell’utilità umana di mantenersi vivi, indipendenti
e critici nell’elaborare pensiero per creare vita, si finisce per diventare
schiavi inconsapevoli di un modo passivo di aderire alla struttura portante del
governo sottoculturale della società, che ha sostituito le grandi istanze
morali col formalismo del politically correct, la creazione artistica su
base ideale con la novità commerciabile, le logiche religiose, filosofiche ed
esistenziali a interessi materiali monetizzabili, e ha appiattito i doveri sui
pagamenti e i diritti sui consumi. La sottocultura si regge sulla cecità al
senso dell’agire sociale, in passato favorita dall’analfabetismo vero e
proprio, e oggi da quello virtuale, ed è insieme ragione e conseguenza della
passività collettiva.
Il primo passo è la presa di coscienza
di questa realtà, il secondo è l’uso delle proprie risorse di pensiero
indipendente in un modo diverso dalla passiva adesione alle mode, che veicolano
gli interessi economici. L’antidoto è dunque l’uso di quel potere della mente
di ciascuno, che si è fatto rientrare nel concetto di libero arbitrio, a fini
costruttivi e per perseguire valori di sostanza da cui far dipendere il grado
di importanza che ciascuno può attribuire a fatti e realtà del mondo. Non è
facile farlo da soli; dunque, fin dalla fondazione della nostra società
scientifica, abbiamo provato a indicare modi diversi dalla partecipazione al
nostro Seminario Permanente sull’Arte del Vivere. Ad esempio, Nel 2007 abbiamo
salutato con simpatia, e indicato soprattutto ai Fiorentini, la nascita di “Humana.Mente
Il Pensario della Biblioteca Filosofica” come periodico trimestrale di
filosofia che, attraverso ambiti specializzati della riflessione filosofica,
manteneva viva la coscienza della possibilità e del valore di elaborare
pensiero nella realtà attuale. Conoscendo i protagonisti di quell’iniziativa, anche
se non sempre se ne condividevano le tesi, era evidente che si incontravano persone
ben protette dal rischio di aderire passivamente al movimento acefalo della
collettività imbarbarita nel seguire i vantaggi materiali personali, quali
parte di un modo globalizzato di vivere al servizio di un valore economico
deificato, sull’altare del quale sono stati sacrificati valori di storia
millenaria come la bellezza e l’ideale. [BM&L-Italia, aprile 2024].
Con la nascita della nostra società nel
2003 nasceva anche Pianeta Galileo. Scriveva Ian
Tattersal: “La scienza è un processo, un processo che continuerà a modificare e
perfezionare le nostre idee sul mondo sino a quando esisteranno esseri umani
sulla terra” (Ian Tattersal, Micromega, p. 37, vol. II, 2007). L’iniziativa
“Pianeta Galileo”, finalizzata alla diffusione della cultura scientifica, nasce
e si sviluppa in Toscana con l’intento di portare nella scuola e nella società
un’immagine corretta e reale della scienza, contro le deformazioni della
sottocultura che le attribuiscono le colpe dei regimi politici, dei dittatori,
dei despoti e dei capi militari che si sono serviti della scienza e della
tecnologia a scopi criminosi e criminali. L’iniziativa ha fatto conoscere
attraverso lezioni magistrali e centinaia di eventi in tutte le province
toscane le grandi scoperte, le affascinanti teorie e il potere di conoscenza
che la scienza fornisce a tutti noi. Su quella scia ancora si realizzano numerosi
eventi, ma la partecipazione è ancora limitata, al confronto di quella che si
registra nei numerosi eventi giovanili di massa. In un incontro della nostra
società scientifica su questo tema, tenutosi lo scorso mercoledì 17 aprile, il
nostro presidente ha concluso: “Sarebbe auspicabile una coscienza diffusa del
fatto che la scienza può rendere liberi, tanto quanto il danaro può asservire”.
[BM&L-Italia, aprile 2024].
La prima istruzione e l’educazione da
Marco Aurelio (161-180) a Giustiniano (527-565). Molti
fra gli studiosi che si occupano di formazione culturale dell’Io, quale radice psico-antropologica
del soggetto storico occidentale, adottano in genere due riferimenti: lo
stereotipo della formazione del fanciullo ateniese tra il V e il III secolo
a.C. e l’istruzione cristiana di epoca medievale-rinascimentale, ignorando del
tutto un periodo che storici della “vita privata” del calibro di Peter Brown,
Paul Veyne, Michel Rouche, Yvon Thébert e, prima ancora, Philippe Aries e Georges
Duby, considerano fondamentale per comprendere il modo in cui si è formata e
forgiata la struttura di personalità del cittadino che affronta una delle
maggiori transizioni storiche, conservando alcune qualità essenziali e
caratteristiche: i quattro secoli che vanno dal regno di Marco Aurelio a quello
di Giustiniano.
Peter Brown afferma che in questo
periodo “il mondo mediterraneo attraversò una serie di profonde trasformazioni,
che modificarono i ritmi di vita, la sensibilità morale e il connesso
sentimento dell’Io degli abitanti delle sue città e delle campagne circostanti”[2].
Nella società romana di età imperiale
prima dell’epoca cristiana il dato caratterizzante fondamentale era la differenza
nell’educazione e nell’istruzione dei figli dei servi, discendenti da popoli
sconfitti in guerra, dai “ben nati”, ossia cittadini romani provenienti da famiglie
antiche, ricche, potenti, in vista o con qualche membro divenuto famoso per
meriti militari, di arte, scienza o cultura. L’educazione morale e la cultura
sono deliberatamente trasmesse in modo tale da inculcare e ribadire la distanza
tra i ben nati e gli altri: così come le vestali, le donne consacrate a
Diana e i sacerdoti di Apollo avevano privilegi, poteri e considerazione legata
alla loro castità e disciplina, si insegnava ai figli di buona famiglia che la
loro ligia osservanza della disciplina di studio, di conoscenza, di quotidiano
miglioramento di sé conferiva loro, allo stesso tempo, responsabilità e potere.
Nelle buone famiglie, l’educazione familiare cominciava in età precocissima;
dopo due o tre anni cominciava l’epoca dell’istruzione.
Il principio di formazione morale del
piccolo cittadino romano di epoca imperiale non affidava il bambino a una
scuola, ma alla città. Questo affidamento ci informa su due aspetti che
segnano una differenza fondamentale con il mondo moderno: 1) il ruolo diretto dei
rappresentanti istituzionali della cultura nella formazione del singolo; 2) la profonda
differenza esistente tra queste figure, espressione di alte competenze magistrali,
e i rappresentanti politici del mondo contemporaneo, appiattiti su ruoli
funzionali a un sistema burocratico in gran parte autoreferenziale e spesso molto
distanti da figure di “maestri di cultura”.
L’affidamento alla città comincia a
sette anni: il paedagogus ogni mattina prelevava il bambino presso la
casa genitoriale e lo conduceva seco al Foro: gli insegnanti sedevano nel Foro
tutt’intorno, in aule semi-delimitate che si affacciavano sull’area centrale,
ossia il centro della vita urbana e dell’istruzione pubblica dei bambini. “Qui
il ragazzo veniva assorbito dal gruppo dei suoi uguali, ragazzi di status
analogo. Egli conserverà un’obbligazione permanente tanto verso questo gruppo
quanto verso il suo insegnante. Sia il contenuto di questa educazione, sia il
modo e il luogo in cui essa veniva impartita, mirava a creare un uomo versato
negli officia vitae, in quelle solenni, tradizionali tecniche di
relazioni umane che si riteneva occupassero per intera la vita dell’uomo delle
classi superiori”[3].
È interessante notare che la formazione
morale dell’individuo era nelle età precoci affidata allo studio della
letteratura: la comprensione e l’interpretazione dei contenuti, sotto la guida
dei maestri, contribuiva allo sviluppo di sentimenti e, diremmo, di un profilo
affettivo congruo con i valori desunti dalle opere degli antichi.
Riprendiamo in proposito la lettura di Peter Brown: “L’educazione letteraria
veniva considerata parte di un più intimo e impegnativo processo di educazione
morale. Si credeva fermamente che il meticoloso apprendimento dei classici della
letteratura andasse di pari passo con un processo di formazione morale: le
forme corrette di scambio verbale rendevano manifesta la capacità del membro
delle classi superiori di entrare nei corretti rapporti interpersonali con i
suoi pari nella città”[4].
Solo nelle età successive la struttura
etica del soggetto verrà affidata allo studio filosofico. Per fare un paragone
con l’epoca ciceroniana: fino all’età in cui i giovanissimi apprendisti della
retorica, intesa come macchina concettuale-comunicativa per convincere, sono
alle prese con i testi delle controversiae, è la letteratura a guidare
il senso morale, quando i ragazzi sono maturi per passare ai testi delle suasoriae,
studieranno filosoficamente i principi di una dottrina etica.
In altri termini, nell’infanzia il senso
morale è sollecitato dall’esperienza evocativa di versi e figure letterarie, presentati
quale modello di sensibilità; nella giovinezza si insegna a interrogarsi in
termini di ragione sui grandi problemi di coscienza, rapportandoli nel contempo
a una visione del mondo e a un saper vivere.
Stupisce al giorno d’oggi leggere con
quanta cura e quanto rigore tra il 161 e il 565 si insegnavano regole di
comportamento, che tendevano a modificare per apprendimento condizionato postura
e atti automaticamente e involontariamente associati a stati fisiologici
cerebrali e dell’organismo. Il controllo della volontà del soggetto era
proposto in una chiave assolutamente positiva, come un esercizio di forza
mentale che irrobustisce la personalità. Secondo Peter Brown anche in questo
insegnamento si voleva marcare la differenza tra ben nato, degno di
appartenere alle classi sociali di governo, e nato da vinti, schiavi, rifugiati
o persone cadute in disgrazia o finite in povertà.
Fatto sta che, presso il Foro, si insegnava
ai bambini a controllare la gestualità, senza mai cedere a movimenti emotivi
involontari, a regolare il respiro, senza andare in tachipnea superficiale quando
si parla in fretta, e a controllare il movimento degli occhi secondo regole recitative[5].
Si trattava di una “forma che regge una sostanza”, secondo l’insegnamento degli
antichi Greci, espresso nella formula “lo stile è l’uomo”, bene illustrata da
Omero quando parla di Ulisse come “eroe che soffre nel cuore”. Si può
soprattutto dedurre una concezione in due fasi della formazione del fanciullo:
la fase precoce in cui si mira soprattutto a fare apprendere nozioni e strutture
di conoscenza pratica, attraverso la memorizzazione pedissequa e minuziosa di
testi e l’apprendimento per imitazione di postura, atteggiamento, contegno e
comportamento sociale; e una seconda fase in cui di addestra il giovane più
specificamente alla logica, al ragionamento, alla considerazione critica delle
idee e allo sviluppo di idee nuove e applicazioni innovative delle abilità
apprese. [Fonte: Seminario Permanente sull’Arte del Vivere BM&L-Italia, aprile 2024].
Notule
BM&L-20 aprile 2024
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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Frans de Waal è stato incluso
nel 2007 dalla rivista Time nella lista delle 100 persone più influenti
del mondo.
[2] Peter Brown, Tarda Antichità,
in Philippe Ariès & Georges Duby, La Vita Privata dall’Impero Romano all’Anno
Mille, p. 173, Edizione CDE (su licenza Giuseppe Laterza e Figli), Milano
1986.
[3] Peter Brown, Tarda Antichità,
op. cit., p. 175.
[4] Peter Brown, Tarda Antichità,
op. cit., p. 175-176.
[5] Cfr. Peter Brown, Tarda
Antichità, op. cit., p.176.